Conobbi Nicola circa venti anni fa. Aveva solo 14 anni. Veniva da noi, già appassionato di informatica, per acquistare schede madri, CPU e altri componenti, per costruirsi da solo il suo computer. Sapeva il fatto suo ed era preparatissimo. L’ho visto crescere. Passava spesso da noi, ci aveva adottati come fornitori preferiti perché ci sapeva disponibili a consigliarlo e ad assisterlo in caso di necessità urgenti, anche se non ne ha mai avuto veramente bisogno. Inutile dire che si è laureato in ingegneria elettronica, ma si è specializzato in programmi software abbandonando l’hardware. Una volta imparato a comporre il suo PC ha perso interesse e si è lasciato affascinare dalle più ampie soddisfazioni che offre la costruzione di software. Tra Padova e Milano era spesso in viaggio, ma questo non gli ha impedito di formarsi una famiglia, ho conosciuto la moglie. I clienti che hanno cominciato a venire da noi da ragazzini vengono orgogliosi accompagnati dalle compagne a fare acquisti, è come se tacitamente volessero affermare la loro maturità. A me fanno una gran tenerezza perché mi sembrano sempre piccini, come il primo giorno che li ho visti entrare in negozio un po’ impacciati anche se sicuri dei loro acquisti. Ho sempre imparato molto dai ragazzi. Arrivano informatissimi e devo essere pronta a rispondere alle loro richieste, questo mi costringe a tenere il passo studiando e tenendomi al corrente sulle novità del settore. Nicola aveva fatto carriera e si era fatto una famiglia. Aveva una moglie e due figli, un maschietto che gli assomigliava molto e una bellissima bambina down, dolcissima e adorabile. Non l’ho mai visto triste o arrabbiato, neanche quando passò per ordinare due nuovi notebook a breve distanza. Mi meravigliai del nuovo ordine a e gli chiesi come mai gliene servivano altri due uguali a quelli appena presi, che cosa non era stato dei precedenti? Gli erano stati rubati, mi disse. Erano entrati i ladri in casa e avevano trovato il suo notebook e quello della moglie comodi comodi nelle valigette in ingresso, dove li avevano lasciati pronti per portarli al lavoro il giorno dopo. Era contento di non aver perso i dati perché il ladro non si era accorto del NAS e tutti gli archivi erano salvati lì. Mi ha spiazzato la sua serenità e quel sorriso che i ladri non erano riusciti a rubargli. Stavo male io per lui e ho fatto tutto quel che potevo per compensare in parte, nei limiti delle mie risorse, al danno subito.
Doveva passare a ritirare un pezzo che aspettava e mi informò via mail che sarebbe passato con qualche giorno di ritardo perché si trovava all’ospedale, ma mi assicurava che appena uscito sarebbe venuto. E così fu. È arrivato e sul momento non l’ho riconosciuto, la sua chioma bionda e riccia non c’era più, ma gli occhi azzurri, e quel sorriso limpido era inconfondibile. Gli ho consegnato il suo ordine e gli ho chiesto, con prudenza, che cosa fosse successo. Sto facendo la chemio, è stata la sua risposta, detta con un tono talmente naturale che veniva vogli a di digli: bravo. Non ho avuto il coraggio di chiedergli nulla, se non fosse stato per i capelli che non c’erano più non avrei mai detto che stava male, tant’è che quando è uscito l’ho salutato e gli ho fatto un grosso imbocca al lupo più scaramantico che preoccupato. Ero certa che sarebbe guarito, ne era certo pure lui. Qualche giorno fa ho saputo che è morto. Il tumore si è preso la sua giovane vita. Da allora non mi do pace e penso a lui ogni giorno, penso a quanto è fragile il filo che ci tiene sospesi sul confine del prima e del dopo. È terribile la tristezza che cala sulla fine prematura di una vita promettente, in piena fioritura con tanto, tanto futuro ancora da vivere. È una rabbia disarmata che investe l’anima di chi perde il piacere di vedere ancora quel sorriso limpido e sereno, imperturbabile difronte ogni avversità.