Villa Draghi, la sua storia e i suoi misteri

villa dragnìhi

Ieri sera allo IAT di Montegrotto Terme si è tenuta la la serata di formazione per reclutare volontari ciceroni e non, da impiegare durante l’apertura di Villa Draghi, che sarà il prossimo 23 aprile, e nelle domeniche a seguire fino alla fine dell’estate. L’associazione culturale non profit che promuove la valorizzazione il complesso di Villa Draghi e parco, nella persona di Loris Sguotti, amministratore del consiglio direttivo, ha invitato Claudio Grandis a riassumere in breve la storia di Villa Draghi.

cladio grandis
Claudio Grandis

È stato subito chiaro che sintetizzare 4 secoli di vite, 400 anni di anime che hanno abitato il Palazzo fatto costruire dall’illustre veneziano, sig. Lucatello sul poggio sotto Monte Alto, e la più recente villa che possiamo visitare oggi: Villa Draghi, non era facile. D’altra parte non è stato nemmeno facile, per Claudio Grandis ricostruire la vita e i passaggi di proprietà di quel sito.

È stato molto affascinante sentire come Claudio Grandis ha svolto le sue ricerche, partendo da un unico indizio, un nome: Alvise Lucadello (1632-1713).

http://www.associazionevilladraghi.it/wp-content/uploads/2016/04/Claudio-Grandis.pdf

Seguendo questo link potete leggere i “Frammenti di storia” che, con tenacia e pazienza, Grandis è riuscito a mettere insieme per ricomporre la linea del tempo su cui collocare le vite vissute a Villa Draghi. Il suo è stato ed è tuttora, un lavoro attento all’inseguimento di codicilli, postille e note, contenute in atti notarili, testamenti, e passaggi di proprietà. Le soddisfazioni più grandi sono arrivate dalla consultazione dei testamenti, ci dice Grandis. E ce lo dice con commozione e grande entusiasmo.

L’attività dello storico è paragonabile al cercatore d’oro. Il tesoro che trova non è monetizzabile, non è quantificabile ed è fonte di nuove curiosità. Lo storico è afflitto da un’insaziabile sete che si placa, a tratti, solo quando una fonte rivela i suoi segreti. Quando alla curiosità dello storico si abbina la creatività e l’empatia verso le persone che hanno vissuto, sofferto, gioito lasciando le tracce seguite, si può raggiungere quella che io definisco la sublime esaltazione che illumina gli occhi della meraviglia di chi scopre, di chi conosce, di chi trova la verità.

Una sensazione tipica nei bambini quando imparano e che gli adulti spesso perdono nella convinzione di conoscere già. Una grave perdita: l’umiltà. Un ostacolo alla felicità: la presunzione. È invece una porta sempre aperta: la curiosità.

Sono ancora molte le storie che si possono recuperare, gli aneddoti che si annidano nella memoria dei nonni, magari custodite nei cofanetti dei segreti o nei pacchi di lettere col fiocco rosso. Villa Draghi ha ospitato personaggi illustri di cui non conosciamo niente, ma che hanno lasciato una forte impronta. Chi era Giovannina, l’ultima proprietari a della villa?, e la sorella Rita (Margherita)? Perché vivevano in gran riserbo e non permettevano a nessuno di entrare in casa loro e nemmeno di guardarle in faccia?, quale mistero nascondevano.

La fantasia si scatena quando il mistero si infittisce e tutto sembra diventare possibile. Allo storico basta una traccia, una voce per scatenare il desiderio di sapere e la spinta per iniziare la sua ricerca. Abbiamo tanto da scoprire in questa nostra Italia e tante meraviglie che ancora possono illuminare gli occhi di chi ha desiderio di sapere.

L’associazione Villa Draghi cerca volontari che dispongono di tempo da investire nel progetto di apertura al pubblico della Villa. Chi desidera passare alcune ore godendo della bellezza della villa contribuendo alle iniziative dell’associazione può mettersi in contatto on le associazioni che si occupano del progetto: Associazione Villa draghi, associazione itaka e associazione giovanile Ikaro

www.associazionevilladraghi.it

https://www.facebook.com/AssociazioneVillaDraghi/

https://www.facebook.com/associazioneitaka/?fref=ts

https://www.facebook.com/associazioneikaro/?fref=ts

M. B.

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SVEGLIARE I LEONI – La mia opinione

 

Svegliare i leoni

Ayelet Gundar-Goshen

SVEGLIARE I LEONI
Tradotto da:O. Bannet, R. Scardi
Editore: Giuntina
Collana: Israeliana
Anno edizione: 2017

Pagine: 318 p. , BrossuraEAN: 9788880576679

SVEGLIARE I LEONI mi ha messa in difficoltà. Subito, fin dalle prime righe.

L’ho letto. Per una settimana ho cercato di scriverci su una recensione, ma non trovavo un’interpretazione che mi desse soddisfazione. Di solito, quando un libro mi entusiasma, la recensione esce fuori da sé, cola come lava da un vulcano in piena attività. Con questo libro non è successo.

Una parte di me chiedeva all’altra -ma a te piace? A me no- e l’altra rispondeva – no, ma è bello-.

In realtà il libro è bello. Ma c’è un ma. Ed è tutta colpa di Michela Murgia.

Ho iniziato a leggere questo romanzo galvanizzata dalla presentazione che la Murgia ha fatto a “Quante storie” (su Rai tre). Lei l’ha definito un romanzo avvincente che cattura il lettore fino alla fine e che non si può resistere alla curiosità di saper come finisce.

Non ho provato nulla di tutto questo. Pur avendolo letto con interesse, l’unico momento davvero avvincente è stato alla fine, le ultime pagine, dove c’è l’unica scena davvero dinamica, ma che l’autrice ha ben saputo spegnere tirando per le lunghe gli avvenimenti con le indagini psicologiche dei pensieri che occupavano le menti dei protagonisti, così come ha fatto per tutta la durata del romanzo. Secondo il mio giudizio Michela Murgia ha fornito un’errata chiave di lettura. Non è un libro dinamico che avvince e coinvolge il lettore, tutt’altro. Secondo me l’autrice pone il lettore in platea, lo mette comodo comodo seduto in poltrona e gli rifila un pistolotto fatto di indagini psicologiche sulle cause ed effetti delle scelte dei personaggi. Per quanto sia dinamica e avvincente la trama, tutto è sapientemente spento e tenuto soffocato da questo dilungarsi in spiegazioni sul perché il tal personaggio si comporta nel modo che porta alla costruzione della trama: cause ed effetti. L’autrice spiega le motivazioni profonde che conducono i personaggi ad agire nell’unico modo che la sua indagine psicologica rende plausibile. Il tutto spiegato dalle esperienze e/o traumi che ne formano il background. Motivazioni a mio avviso discutibili e altrettanto opinabili le scelte. Tuttavia l’autrice è molto brava a raccontare e nonostante la pesantezza di certe lungaggini, tutto quello che descrive stimola interesse.

Ayelet Gundar-Goshen racconta cose complesse con semplicità. Emerge fin dalle prime pagine una profonda conoscenza della psicologia, non è un caso, è laureata in psicologia chirurgica.

Il “modus narrandi” sviluppa negativi in rapida sequenza che proiettano un film fatto di immagini in bianco e nero. La vita del protagonista scorre davanti agli occhi del lettore, come sullo schermo del cinematografo, senza enfasi, senza pathos. Il protagonista e tutti i personaggi hanno una chiara identità. Le loro azioni sono descritte con stile chirurgico. È come se l’autrice parlasse della loro vita operando una vivisezione celebrale con il paziente sveglio, dove lei tocca una zona della corteccia e provoca un’azione, ne tocca un’altra ed ecco la reazione, e così via.

Leggere questo libro è stato un po’ come navigare su un placido fiume infestato di coccodrilli a bordo di un solido battello. Distante dal pericolo con la curiosità che suscita il pericolo. Sicuri che tutto ciò che accade riguarda altri e i presenti sono esclusi.

Ci sono situazioni che ho trovato poco credibili, costruite ad arte per reggere la trama, ma accettabili.

Questo è il miscuglio di sensazioni che ho provato leggendo questo libro. Libro che definirei libro camaleonte. Un libro che, a mio parere, può cambiare colore a contatto con le mani del lettore. Una caratteristica pregiata per un romanzo, come ce ne sono pochi.  Un libro profondo che penetra tra le pieghe dell’anima dei personaggi, ne svela le fragilità e la forza interiore, stendendo il tutto davanti allo sguardo di chi legge.

Nonostante un impatto deludente, causato da un errato approccio e da un entusiasmo indotto dalle parole di Michela Murgia, devo dire che mi è piaciuto. Le due parti di me sul finale si sono accordate e entrambe hanno trovato soddisfazione.

È un libro che consiglio, si presta a diverse e multiple chiavi di lettura. Ogni lettore può farlo proprio e personalizzarne il messaggio. 

Un denominatore comune? Il dubbio.

Monica Bauletti