La fata Turchina

 

la fata turchina

 

L’ultima prova d’abito era stata qualche giorno prima, come pure l’ultimo cucchiaio di quello sciroppo schifoso che doveva saper di fragola, ma che di fragola non aveva nemmeno l’odore. Le capitava di ammalarsi sempre nei momenti peggiori: a Natale, oppure in vacanza. Il soggiorno al mare dell’ultima estate, l’aveva passato chiusa in camera con la febbre alta e la solita tonsillite. Guarì l’ultimo giorno, pronta per tornare a casa con mamma e papà. Il mare non l’aveva neanche visto. E adesso che mancavano pochi giorni alla festa di carnevale aveva le tonsille rosse e gonfie con il solito febbrone.

Seduta accanto al letto, a vegliare il sonno febbricitante, c’era la mamma che lavorava di taglio e cucito; stava preparando il vestitino per la festa di carnevale. Lo vedeva prendere forma tra le mani esperte, bellissimo e splendente con pizzi nastri e taffetà, ma chissà se sarebbe riuscita a metterlo. Che peccato però!

Il pezzo forte del costume era la parrucca, di colore turchino, con le trecce lunghissime e lei non vedeva l’ora di indossarla. La provava a ogni momento, spesso di nascosto:

“Lascia stare quella parrucca che la sgualcisci e poi va a finire che il giorno della festa è tutta sporca e spettinata”.

Il vestito che la mamma stava confezionando era a dir poco delizioso: azzurro con le finiture bianche e oro. E non mancava la mitica bacchetta magica tutta d’oro con una stellina in cima. Sarebbe stata una fata turchina come poche e il maestro le avrebbe fatto la foto.

“Se questo febbrone non passa mi sa che dovrò allungare l’abito. Ogni volta che ti ammali cresci qualche centimetro, avanti di questo passo diventerai un gigante”.

Invece no, era sempre la più piccola della classe.

Quando alla lezione di ginnastica il maestro metteva tutti i bambini in fila, in ordine di grandezza, lei si contendeva il primo posto con la compagna che misurava uguale, anche se sosteneva di essere un centimetro più alta. A lei non pesava essere la più bassa perché così era la prima della fila. Sempre meglio che essere l’ultima, no? Però certe volte avere una mezza spanna in più le sarebbe tornato utile, oppure, in alternativa, le sarebbe bastata una bacchetta magica, ma vera, una che le magie le facesse per davvero e non solo per finta come quella di carnevale. Che bello sarebbe stato poter diventare invisibile, oppure avere il potere di immobilizzare Renzo. Quel bambino prepotente se la prendeva sempre con lei, ma perché poi! Lei non gli aveva fatto niente, lo conosceva appena. Non si spiegava come mai lui si divertisse tanto a farle i dispetti. Che poi, se non le avesse fatto paura, sarebbero potuti essere amici. Ma quando la puntava con lo sguardo minaccioso lei sentiva che stava meditando qualche dispetto. Non bastava ignorarlo facendo finta di non averlo visto e neppure cambiare strada tenendo la testa bassa, non bastava fingere di leggere o di occuparsi di altre cose, non bastava fare dietro front come avendo dimenticato qualcosa, e non bastava nemmeno rifugiarsi in qualche negozio per chiedere informazioni su prodotti che non avrebbe mai comperato. Lui restava sempre lì, ad aspettare e poi la seguiva fino a quando non riusciva a mettere in atto i suoi cattivi propositi. In quei momenti le faceva davvero paura.

Ricordava molto bene quando Renzo aveva cominciato a perseguitarla. Una mattina, uscendo dalla chiesa dopo la preghiera mattutina, attraversando la piazzetta per entrare nel cortile della scuola, lui le si era parato davanti a bloccarle il passaggio, lei aveva cambiato percorso per passare oltre, ma lui di nuovo in mezzo a sbarrare la strada. Non aveva avuto il coraggio di chiedergli perché facesse così, però capiva che voleva attaccare briga. Non era possibile che lei potesse fronteggiarlo, piccina com’era, di fronte a lui misurava la metà. Non si sentiva in grado di fare a botte, in mezzo alla piazza poi!, si sarebbe vergognata da morire a rotolare per terra lottando con un ragazzo, lei che aveva il suo bel vestitino sotto il grembiule verde con il colletto di pizzo e il fiocco blu. Magari un paio di calci e spintoni a quel ragazzino prepotente glieli avrebbe anche dati se non avesse dovuto “tenersi pulita e in ordine almeno fino all’ora di pranzo”, come le raccomandava la mamma tutte le mattine durante il rituale-tortura dello chignon. La mamma non la lasciava uscire di casa fino a quando non erano stati catturati e imprigionati nell’elastico tutti i suoi ricciolini dorati. Però doveva ammettere che era uno spettacolo l’acconciatura che risultava a suon di colpi di spazzola, accompagnati dalla colonna sonora dei suoi strilli e pianti. Alla fine, quando il dolore passava, le pareva di avere la coroncina di principessa. I riccioli d’oro formavano una cipolla in cima alla testa, un piccolo fiocco completava l’opera.

Quel mattino che Renzo incominciò a provocarla non poteva reagire e rovinare tutto il lavoro di mamma, quindi aveva di nuovo evitato l’insolente attaccabrighe e si era messa a correre fino all’ingresso della scuola, lì c’era il bidello che le voleva bene e la difendeva sempre. Dopo quel primo episodio capitò spesso che Renzo la importunasse. A volte non era solo. E in compagnia di altri ragazzini, spesso più grandi, diventava anche più cattivo. Una volta l’aveva spinta e, cadendo, si era sbucciata le ginocchia, la cartella che teneva sulle spalle si era aperta seminando intorno libri, quaderni e l’astuccio con tutto il suo contenuto. Si era vergognata tantissimo, oltre al male anche l’imbarazzo. Renzo era andato via soddisfatto ridendo e urlando parolacce. Da allora aveva cercato in tutti i modi di evitarlo. Certe volte, sapendo che lui era nei paraggi, aspettava che arrivasse il papà a prenderla restando al sicuro all’interno del patronato o in biblioteca, sperando che non la cacciassero fuori per la chiusura, oppure si affiancava alle amichette accompagnate dalle loro mamme e faceva un pezzetto di strada con loro fino a quando si sentiva fuori pericolo, ma davvero fuori pericolo non si sentiva mai, non era mai sicura che Renzo fosse abbastanza lontano da non vederla. Certe volte le pareva di sentirlo arrivare da dietro le spalle invece poi, era un sollievo, accorgersi di essersi sbagliata. Tuttavia, pur sapendo che era sbagliato quello che lui faceva, credeva fosse normale e pensava pure di meritarselo, inoltre: trattandosi di cose da bambini, credeva di doversela sbrigare da sola e non ne aveva mai parlato con i grandi. Che poi quel bambino, un po’, le faceva pena e non riusciva a provare rabbia o rancore nei suoi confronti, solo paura. Le dispiaceva vederlo sempre rabbioso, pronto a litigare per fare soffrire e spaventare gli altri bambini. Lei amava giocare, ridere e fare tante cose in compagnia con tutti, non capiva l’astio che animava Renzo, non concepiva l’aggressività che lo portava a litigare e picchiare gli altri. Lei, quando bisticciava con la sorella o con le amichette, stava così male che subito dimenticava qualsiasi torto, perdonava se doveva, e tornava a giocare come se nulla fosse. Tutto passava in un baleno. Invece Renzo era in collera con il mondo intero sempre. Era come se lui uscisse da un mondo buio, fatto di violenza, dove nessuno sa che cosa sia l’amicizia.

Un giorno, e fu l’ultima volta che successe, in una strada poco frequentata fuori dal centro del paese, si trovò faccia a faccia con lui. Erano in bici. Come previsto lui le andò contro e la bloccò. Non aveva via di scampo, non le restava che affrontarlo. Lasciò cadere la bici e lo sfidò. Sembravano due galletti da combattimento in attesa della prima mossa. Aveva il cuore in gola, ma non abbassò lo sguardo, era decisa a non lasciarsi sopraffare e a difendersi come poteva. Da dove le venne la forza fu un mistero e così pure come fece a resistere agli attacchi di Renzo, ma nella lotta si ritrovarono dentro al fossato in secca e riuscì a farlo cadere e a metterlo a terra. Bastò. Fu forse la sorpresa per l’inaspettata reazione, tant’è che Renzo capì che lei non era più disposta a sopportare le sue angherie e che, anche da sola, sarebbe riuscita a difendersi. Da quel giorno non la importunò più.

Non seppe mai perché Renzo l’aveva presa di mira. Forse non lo sapeva nemmeno Renzo. Non furono mai amici. Le loro strade proseguirono in direzioni diverse; divennero grandi senza incrociarsi più.

La ragazza al mercatino del vintage vendeva cimeli. Tra le tante cose messe in vendita per sgomberare la casa ereditata dal padre: il maestro, c’era la scatola delle foto collezionate in tanti anni di insegnamento. C’era pure la sua foto vestita da fata turchina, con la parrucca, la bacchetta magica e il ricordo di un bambino al quale era stata rubata l’infanzia. Un bambino che non aveva imparato la gioia dell’amicizia. Chissà, forse se la bacchetta magica della Fata Turchina fosse stata davvero magica avrebbe potuto vedere dentro al cuore di Renzo. Avrebbe potuto liberarlo dalla rabbia e insegnargli che i bambini devono essere amici. Che è più bello voler bene.

Monica Bauletti

 

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Luna

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Da bambina facevo un sogno che annunciava il sopraggiungere della febbre. Era sempre lo stesso e ogni volta la paura mi impediva di vederne la fine, mi svegliavo e correvo nel lettone, in mezzo, tra mamma e papà. Mamma, con un bacio in fronte mi misurava la febbre, ma io, io questo questo l’ho capito solo quando divenni grandina. Da piccina credevo che il bacio servisse a cacciare i brutti sogni.
Sognavo che al crepuscolo, quando il cielo sfuma dal cobalto al blu di prussia e la luna trova il suo primo piano io mi attardavo a giocare nel cortile, che non c’era mai la voglia di rientrare. Alzavo gli occhi al cielo e vedevo la luna diventare sempre più grande e grande e grande. Io restavo paralizzata a osservare questa enorme palla luminosa gonfiarsi mentre si avvicinava e scendeva viaggiando verso di me adagiata su un nido volante fatto di rami intrecciati e paglia. Quando la luna arrivava a pochi passi da me mi svegliavo tutta sudata e correvo dalla mamma in cerca del bacio salvifico. Non ho mai finito questo sogno, non ne ho mai capito il significato, mai fino a oggi. Oggi ho scoperto che c’è un passaggio nel Nuovo Testamento, nell’Apocalisse, dove Giovanni descrive la venuta di “una donna vestita di sole, con la luna ai sui piedi e 12 stelle in testa”. E una certa corrente predice che questo passaggio sta a significare l’ascesa in cielo dei giusti guidati dalla signora di sole sulla luna, e la condanna dei cattivi che resteranno sulla terra in preda all’anticriso.

Questo evento è previsto per il prossimo 23 settembre: “La teoria è nota con il nome di Revalation 12 Sign”. La teoria si basa su un evento astrale che vede l’allineamento dei pianeti: il sole attraverserà la costellazione della Vergine.

Ecco spiegato perché avevo tanta paura e non volevo finire il sogno. Il 23 devo ricordarmi di andare da mamma, ma questa volta il bacio in fronte glielo darò io che non si preoccupi, lei il paradiso se l’è conquistato e non ha nulla da temere.

 

Monica

SCHEDA DEL LIBRO: BERTA, LA LEGGENDA

   SCHEDA DEL LIBRO

  

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Berta, la leggenda –

Monica Bauletti

Settembre 2017

ISBN 9788871633787

Copertina flessibile: 206 pagine € 12,00

http://www.monicabauletti.it/berta.htm

L’autrice ha superato abilmente una collocazione razionale e trait d’union molto intelligenti, da non far capire al lettore il salto all’indietro del racconto che poi fluisce con limpidezza seguendo le sequenze micro e macro della grande storia. Gli inserti colloquiali sul binario del sentimento e le interlocuzioni tra i personaggi risultano utilissimi per riportare il lettore al riflesso dell’amore, ora puro e simbiotico, contrapposto alle unioni di potere medievali. Si rivela una scansione storica adeguata ai processi confusi del periodo affrontato.

Miracolosa e convincente la specularità di due limpide storie, quella di Bertha di Susa, che continua a superare la dimensione del tempo, senza alcun momento di stasi, ma in continuo consolidamento e, all’unisono la continuità di un sentimento di felicità, con la gioia inseguita dall’amore per i figli, l’altra scissa dalla fame di orge in cui affonda Enrico, imperatore arrogante e indegno che si rifiuta di amare una creatura angelica e grondante di virtù, che la scrittrice, con una ineccepibile, ma solida conoscenza storica, riesce a declinare con saldature diafane, per rendere meno difficoltosa la chiave di lettura del periodo più buio del Medioevo.

Sulla scena si alternano poco noti e più noti personaggi che lasciarono al fluire della grande Storia una eredità di inganni, di ignote sparizioni dei rivali potenti, di soprusi e sopraffazioni incredibili, particolarmente incarnate in Enrico IV in buona compagnia.

La costante e bene articolata progressione strutturale, l’evoluzione linguistica e l’organizzazione delle sequenze narrative, rappresentate con una lineare e simmetrica consecutio fonematica, stilematica che agganciano le linee rappresentate del midollo dei dialoghi, non sovrapposti da dispersivi grovigli inventivi o immaginifici. Sa mescolare con semplicità e penetrante vigore fatalità storica e turbinìo dei sentimenti appiattendoli secondo gli schemi e le modalità dei tempi.

La Bauletti, raro talento di scrittrice nata, arricchita dalle letture dei grandi dell’Ottocento (russi, francesi e inglesi) e dei grandi italiani del Novecento, è dotata di una inedita genialità creativa che riesce a trasformare in racconto anche le “sciabolate luminose sulle placide acque del lago”, con rara resa poetica anche di stilemi e lessemi. L’eccezionale e coinvolgente suo modo di narrare non può essere collocato in correnti culturali codificate, ma riuscendo a commistionare una storia vera e una personale storia d’amore, nato e cresciuto magicamente come un’orchidea nella totale desertificazione del nostro tempo, senza più dei credibili, ma effimeri, indica a chi non conosce la vera sostanza del battito del cuore, e soprattutto ai giovani che rimangono in bilico sull’orlo del burrone, nella vana attesa di una salvifica e calorosa mano.

Cammina con chiarezza e sicurezza sui sentieri obbligati della storia e dei sentimenti contrattuali e quegli inserti dialogici tra emittente apparentemente narratore neutro e ricevente, sussultante difronte all’arido fluire di tempi e dei sentimenti della voce femminile dialogante, rovescia le rigide regole matrimoniali medievale e intride di moderno sentire del cuore, uscendo, al tempo giusto del racconto, a esprimere sue esigenze affettive lasciandosi risucchiare dalle armoniose voci della bellezza e dolcezza del tramonto.                                                          

                                                                                             Carmelo Aliberti

                                                                              (poeta e critico letterario)

 

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