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SE CI FOSSI

Se ci fossi ti direi che avevo tante speranze.
Ti direi che avevo tanti desideri.
Ti direi che ero piena di buoni propositi.
Io non volevo recare disturbo. Volevo un posto dove vivere.
Sono partita per allontanarmi dai pericoli della guerra, della fame, delle botte e delle violenze. Volevo vedere se la vita è un’altra, volevo cercare il senso di questa esistenza. Volevo scoprire la gioia, Volevo capire che cosa si prova quando si è felici.
Era troppo il peso delle aspettative perche la barca potesse galleggiare.
Se ci fossi ti direi che su quella barca ho vinto la paura.
Ti direi che ho assaggiato un po’ del sapore della libertà.
Ti direi che ho iniziato a credere nelle speranze e che forse, forse ho potuto immaginare che cos’è la felicità.
Se ci fossi ti direi che solo l’amore mi ha spinta a partire, l’amore per la vita.

M.B.

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I vuoti dentro

Quando pensiamo alla vecchiaia vediamo rughe e capelli bianchi. Temiamo la demenza e le malattie. Dicono che i rimedi per la longevità siano la sana alimentazione, fare lunghe camminate e un po’ di sport, leggere e trovare interessi per riempire il tempo, è sì!, perché la cosa davvero tremenda nella vecchiaia sono i vuoti accumulati dal tempo. Anche se si possono trovare vantaggi nella vecchiaia i vuoti lasciati dai pezzi di vita che non ci sono più pesano e non c’è niente che li possa riempire. Sono vuoti che non si rendono, non li puoi comprimere che poi si dilatano e riempirli è solo illusione. Sono vuoti che occupano la memoria che per i vivi di spazio ne basta poco. Ma quando il cerchio dell’orizzonte si fa sempre più stretto è dolce scivolare tra i ricordi mentre un nuovo vuoto risucchierà lo spazio che ci apparteneva.

M.B.

ELLEBRO

Sei nata a ridosso dei Santi, eri bella come lo sono i fiori d’inverno.
Sei cresciuta passo dopo passo e io lì a braccia tese per attutire le cadute.
Sei fiorita sfidando ogni fragilità, con determinazione, sudando ogni traguardo con la fame di successo e io lì a sostenere ogni tua scelta.
Sei partita in cerca del tuo spazio e io lì col dolore che mi spaccava il cuore ad aiutarti a fare la valigia di chi non torna.
Ti ho spinta ad andare perché non ti volevo perdere e son felice di saperti felice.
Ancora un po’ bambina sei diventata la donna che avrei voluto essere e ora che mi manchi ogni giorno di più non c’è niente che sento di rimproverarti. Sono fiera del tuo coraggio, della tua forza, della tua lucida volontà e sono sempre qui a braccia tese che aspetto di riabbracciarti un giorno.

RIPETIZIONI di Giulio Mozzi

letterandoilblog

La domanda è:

dove finisce il vissuto e dove inizia l’immaginario?

È ricorrente questa curiosità leggendo le opere di Giulio Mozzi e in questo romanzo ancora di più.
Lo stile è inconfondibile, una firma inimitabile, è, più che mai, il punto di forza nella narrazione spoetizzata di un mondo in caduta libera.
Con esasperante normalità Giulio Mozzi ci propone azioni criminali moralmente inaccettabili e civilmente condannabili. La sua è una scrittura in bianco e nero, dove il bianco e il nero non assumono nessun significato, né mistico, né morale.
La narrazione scorre sul bordo affilato del dolore che nasce da un lutto passando poi attraverso l’abbandono per approdare nella rassegnazione. L’anafettivitá è il rifugio alla mancanza. L’anima giovanile impreparata al grande dolore congela gli affetti che restano imprigionati nei ricordi dell’infanzia quando fiducia e speranza non erano disattese.
La scabrosa sequenza delle immagini narrate diventa il normale  scorrere della vita…

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Il mio albero

Era partita bambina: la casa nuova, poi il collegio. Era tornata adulta, nel petto batteva ancora il cuore di bambina e l'emozione fu grande rivedendo la casa d'infanzia. La vecchia casa sembrava diversa, ma era sempre uguale; la nonna non c'era più.
E l'albero? Chissà se anche il suo albero rifugio era cambiato. Chissà se ora che era cresciuta l'albero era rimpicciolito, come sempre accade in questi casi. Quanti giochi e quante acrobazie aveva fatto tra i suoi possenti rami!! Rivide sé bambina mentre a fatica cercava di raggiungere il ramo più basso: il primo appiglio per iniziare l'arrampicata.  Doveva saltare a più riprese prima di riuscire ad afferrarlo. Ma che soddisfazione quando ci riusciva, una volta raggiunto e afferrato con forza, dopo un paio di dondolii, riusciva a issarsi e da quel momento  la salita era facile. Arrivava fino al ramo più alto, non aveva paura. L"abbraccio dei rami del solido amico erano rassicuranti. Da lassù tutto sembrava più facile, l'aria era più leggera e la gioia riempiva il petto. Respirava la stessa libertà dell'uccellino che nidificava a un passo da lei, tra l'intreccio di rami protetto dalla chioma. Sedeva paga di sé.  Il tempo governato dal sole lasciava spazio al laborioso lavorio delle formiche che veloci correvano tra i rami, o al curioso ondeggiare delle foglie mosse dal vento e accompagnate dal gracidare delle rane dello stagno poco lontano, qualche albero più in là.
Con tutte quelle immagini che riemergevano dalla memoria si incamminò sul sentiero che portava allo stagno, cercava l'albero, cercava la bambina, cercava l'ultimo legame con il mondo che apparteneva alla nonna.
L'albero non c'era più, al suo posto un enorme moncherino. Nella solitudine del boschetto, seduta su quel che restava del solido amico, pianse tutte le lacrima trattenute fino ad allora. Restavano le formiche e le foglie continuavano a danzare mosse dal vento al ritmo del gracidare delle rane.

M.B.

Posizione fissa

1980 terza superiore. Il professore di lettere occupava abitualmente il banco accanto al mio con sfratto esecutivo della mia storica compagna di banco. Durante le lezioni di italiano il banco di seconda fila sotto la finestra era suo, non era negoziabile e io mi ritrovavo un nuovo compagno di banco, a volte anche impertinente. Non mancava di appuntarmi divertito con commenti provocatori per stuzzicare le repliche che non gli risparmiavo. A volte faticavo, vista l’età, a contenere i limiti dell’educazione, ma il rispetto che negli anni 80 una ragazzina di compagna, nata e cresciuta nella bassa padovana, ancora sentiva doveroso nei confronti di un titolato all’istruzione prevaleva, per fortuna.
Non era mai successo che mi trovasse impreparata a ribattere o a smorzare le sue osservazioni, credo mi trovasse divertente, o forse si divertiva a vedere ribaltati i suoi punti di vista. La mia visione del mondo era di sicuro molto diversa dalla sua. Erano dialoghi brevi, una o due battute fatte a bassa voce, a inizio lezione e che nessuno sentiva, perdendosi nel frastuono di sedie tirate , banchi spostati e zaini lasciati cadere; rumori tipici in una classe dove 25 anime prendono posto.
Una volta mi disse: “sei illuminista”. Quella volta non riuscii a ribattere. Era stata un’affermazione che subii come una sentenza. Io mi sentivo romantica, pensavo di essere romantica. Sbagliavo. Lui aveva visto oltre. Aveva ragione.
C’è un seme attorno al quale costruiamo l’esistenza, a volte le influenze ci allontanano dalla nostra essenza, le scelte ci portano in direzioni contrapposte, ma quel punto di gravita ci riprende e basta una parola, un commento, un suono o un colore a portandoci a ritrovare il baricentro,  e nulla più conta, quello che conta è la coscienza di essere.

M.B.

08-03-2021

Sono felice di essere donna quando cucino e mi riesce tutto squisito, 
quando guardo con orgoglio i miei figli e li vedo felici, 
quando la casa è in ordine e pulita, 
quando leggo ammirazione e il rispetto negli occhi di colleghi e conoscenti, 
quando mi concedo un sabato pomeriggio di noia rigenerante in solitudine, 
quando il tempo scalfisce il mio viso e consolida le mie sicurezze, 
quando mi soddisfa un fiore che sboccia, una tenera foglia che spunta da un ramo secco, un gatto si struscia sulla mia gamba o un cane mi fa le feste,
quando mi regalano un fiore e qualcuno mi usa una cortesia,
quando mi sento libera di cambiare idea, di dire no, di non accettare compromessi e pretendo rispetto, e non mi interessa dare di più, fare meglio, perché chi non mi apprezza mi perde.
Sono felice di essere donna quando mi sento amata.
Quando mi sento amata.
Buona festa delle donne a tutte le donne.

M.B.

La ballata delle paure

La ballata delle paure
Se hai paura di cadere: siedi a terra
Se hai paura dell’abbandono: lascia.
Se hai paura della solitudine: isolati.
E allora se hai paura di amare: ama. Ama come non hai amato mai. Come amano i bambini: con l’anima e il corpo. Come amano i pazzi: senza regole, come amo io: senza fine.
Se hai paura del buio: spegni tutte le luci.
Se hai paura del domani: fai progetti.
Se hai paura del prossimo: tuffati fra la folla,
E allora se hai paura di amare: ama. Ama come non hai amato mai. Come amano i bambini: con l’anima e il corpo. Come amano i pazzi: senza regole, come amo io: senza fine.
Se hai paura delle delusioni: deludi.
Se hai paura dei demoni: travestiti.
Se hai paura del vuoto: buttati
E allora se hai paura di amare: ama. Ama come non hai amato mai. Come amano i bambini: con l’anima e il corpo. Come amano i pazzi: senza regole, come amo io: senza fine.
Ama

M.B.

lE RIPETIZIONI – GIUGLIO MOZZI-A METà DEL LIBRO

READING IN PROGRESS

… a metà del libro…

Sono a metà del romanzo di Giulio Mozzi. È un libro che voglio leggere piano, gustarlo con calma, come un buon bicchiere di vino rosso, sempre rannicchiata sul vecchio divano che conosce le forme del mio corpo e asseconda ogni mio movimento. Ogni capitolo è una storia, un pezzo di vita nuda, spogliata delle vergogne e dei pregiudizi, offerta con semplicità, nessuna enfasi, nessuno scandalo, nessun dolore, eppure sconvolgente e penetrante per quanto cruda è la verità che trasmette, che insegna, che disegna nella mia mente. Episodi comuni colti con sensibilità non comune. Incontri casuali vissuti con attenzione e profondo rispetto. Ogni capitolo insegna qualcosa e mi rendo conto di quanta trascuratezza si accumula, ho accumulato nel tempo.

Con un po’ di timore continuo a leggere curiosa di scoprire dove mi porteranno Le Ripetizioni.

M.B.