1980 terza superiore. Il professore di lettere occupava abitualmente il banco accanto al mio con sfratto esecutivo della mia storica compagna di banco. Durante le lezioni di italiano il banco di seconda fila sotto la finestra era suo, non era negoziabile e io mi ritrovavo un nuovo compagno di banco, a volte anche impertinente. Non mancava di appuntarmi divertito con commenti provocatori per stuzzicare le repliche che non gli risparmiavo. A volte faticavo, vista l’età, a contenere i limiti dell’educazione, ma il rispetto che negli anni 80 una ragazzina di compagna, nata e cresciuta nella bassa padovana, ancora sentiva doveroso nei confronti di un titolato all’istruzione prevaleva, per fortuna.
Non era mai successo che mi trovasse impreparata a ribattere o a smorzare le sue osservazioni, credo mi trovasse divertente, o forse si divertiva a vedere ribaltati i suoi punti di vista. La mia visione del mondo era di sicuro molto diversa dalla sua. Erano dialoghi brevi, una o due battute fatte a bassa voce, a inizio lezione e che nessuno sentiva, perdendosi nel frastuono di sedie tirate , banchi spostati e zaini lasciati cadere; rumori tipici in una classe dove 25 anime prendono posto.
Una volta mi disse: “sei illuminista”. Quella volta non riuscii a ribattere. Era stata un’affermazione che subii come una sentenza. Io mi sentivo romantica, pensavo di essere romantica. Sbagliavo. Lui aveva visto oltre. Aveva ragione.
C’è un seme attorno al quale costruiamo l’esistenza, a volte le influenze ci allontanano dalla nostra essenza, le scelte ci portano in direzioni contrapposte, ma quel punto di gravita ci riprende e basta una parola, un commento, un suono o un colore a portandoci a ritrovare il baricentro, e nulla più conta, quello che conta è la coscienza di essere.
M.B.
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