I giorni di Lia

I giorni di Lia

candeleromaeridano

Aveva dato appuntamento a Roberta davanti al municipio. La presentazione del libro si teneva nella stanza al primo piano. Roberta era in ritardo e Lia decise di entrare per tenere i posti.

L’autore era già lì. L’umiltà e l’educazione di quel autore era disarmante. Lia lo conosceva bene, letteralmente parlando,  aveva letto tutti i suoi libri e lo ammirava molto. Quella era la prima volta che aveva l’ occasione di sentirlo parlare e di vederlo di persona. Era un po’ emozionata e voleva la dedica sul suo ultimo libro.
Anche lui la conosceva, si erano scambiati commenti sul blog. Ma Lia non immaginava che lui sapesse che era lei. Lia si crede invisibile. Lei pensa che le persone la dimentichino subito.
Lui era sulla porta e quando l’aveva vista arrivare le era andato incontro per accoglierla, da bravo padrone di casa.
“Grazie per essere venuta”
“Non potevo mancare, mi piace molto come scrive e l’ultimo libro è davvero geniale”.
“Grazie”
Qualche secondo di imbarazzo rimbalzò qua e là.  Lia abbassò lo sguardo, si sistemò i capelli e oltrepassò la soglia.
“Vado a prendere posto, dovrebbe arrivare anche una mia amica.”
“Mmm…grazie, anche io devo parlare con l’organizzatore dell’evento…grazie”
Lia era un po’ sorpresa. L’aveva riconosciuta? Se la ricordava? No, faceva così con tutti gli ospiti.
Roberta arrivò due minuti prima dell’inizio. La presentazione fu un successo, Lia era molto emozionata.
Al firma copie passo il libro all’autore che fece la dedica senza chiederle il nome.
-Grazie Lia, 20 aprile 2019 Pino-
L’aveva riconosciuta.
Mentre usciva aveva sentito l’amico che lo spronava: “ma la lasci andare via così?, ma fermala, chiedile se puoi offrirle un caffè, dai!, non stare lì impalato.”
“No, non posso complicarle la vita, sembra felice”. Lia si chiese a chi si riferissero i due e, incuriosita da quel gossip origliato per caso, lanciò un ultimo sguardo dalla soglia per capire di chi parlassero. La sala era piena di gente, un gruppetto di donne elegantissime si contendevano l’attenzione dell’autore ostentando confidenza nei suoi confronti ogniuna cercando di prevalere sull’altra per affermare la propria superiorità. Lui fingeva di ascoltarle, ma la sua attenzione andava altrove, fuori dalla stanza, giù dalle scale. Ora era già in strada che se ne andava a braccetto con l’amica sulla via del Corso in cerca di un bar per bere quel caffè che avrebbe voluto essere lui a pagare.

./. continua

M.B.

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Tulipani GIALLI



Era una bella mattina di primavera.
Mi hanno svegliata le campane della messa delle nove e trenta. Avevo programmato di sistemare i fiori comprati al mercato del sabato.
Avevo trovato i giacinti. Adoro il profumo dei giacinti, mi piacciono quelli rosa e quelli viola. Pensavo di sistemarli nel vaso che tengo sul tavolino davanti alla portafinestra della camera da letto. Invece i tulipani li volevo mettere sul vaso d’angolo. Mi piaceva immaginare l’angolino tutto giallo con una corona di pratoline tutt’intorno.
Ero stata molto indecisa sui fiori da mettere nella lunga fioriera che sporge oltre il parapetto. Servivano piante che crescono a cascata e fioriscono tutta l’estate, alla fine ho preso i gerani parigini, ricordo che piacevano molto a mia mamma. Credo di averli presi in suo ricordo, quasi per volerla accontentare.
Lei ha sempre saputo. C’è una domanda che mi fece una volta e che mi riecheggia in mente ogni tanto, forse perché non ho ancora risposto. Mi chiese: a te chi ci pensa?, chi si prende cura di te?
Tu dormivi, non volevo svegliarti, ti eri agitato tutta la notte.
Sono scivolata fuori dal letto lentamente e come un rivolo d’acqua invisibile e silenzioso sono uscita dalla stanza. Ero diventata brava a fare l’ombra. Sapevo anticipare i tuoi umori e mi trasformavo in fantasma per non irritarti.
Certe giornate non finivano mai. A volte preferivo che ti sfogassi subito anche se avevo paura. Non riuscivo a prevedere quanta rabbia potevi scaricarmi addosso. Un paio di volte ho tenuto di morire. Ho sperato di morire.
Ho fatto la doccia e ho lavato i capelli. Che belli sono i miei capelli. Lunghissimi, biondi; mossi, ma non troppo. L’ideale per coprire i lividi, l’ideale per immobilizzarmi e tenermi ferma in ginocchio.
Ho fatto colazione con il caffè nero e qualche biscotto. Non c’è niente di più gradevole del profumo del caffé al primo mattino.
Ho avvolto i capelli in un asciugamano e indossato la tuta, ho messo i guanti di lattice e sono uscita a invasare le piante. Tempo qualche giorno avrei visto i primi colori, il profumo mi pareva di sentirlo già. Ammiravo il mio lavoro e mi immaginavo seduta sulla poltroncina di midollino a fumare una sigaretta o a sorseggiare un bicchiere di rosso, adoro il vino rosso. Ero molto soddisfatta.
Non ti ho sentito arrivare. Non ho capito neanche quando mi hai presa in braccio. Ti ho sorriso, ho accennato un bacio e sono volata giù dal quinto piano.
Perché? Che cosa ho fatto?
Ero così contenta.
Non vedrò sbocciare i tulipani.

M.B.

Le Ripetizioni- Giulio Mozzi – prime impressioni

letterandoilblog

READING IN PROGRESS

…dopo soli 3 capitoli …

Oggi niente TV.
Mi sono rifugiata sul vecchio divano, ho un nuovo libro da leggere. È l’ultimo libro di Mozzi, il suo primo romanzo, Le Ripetizioni. Lo leggo e ritrovo l’autore nella sua totalità, ritrovo il ritmo, lo stile, quel modo di penetrare nelle cose, di zummare i particolari nel tentativo di dare un nome a ogni gesto per poi demolirne il senso. Ma intanto che ti dice che nulla resta ha già impresso l’immagine nella mia mente e io so che quell’immagine resterà, così come sono rimaste tutte le immagini dei racconti già letti, alcune le ritrovo anche qui. Ed è confortante ritrovare pezzi di vite – di personaggi forse inventari, forse vissuti- già conosciute in letture precedenti. Da grande estimatore di Manzoni, Mozzi fa della sua letteratura una scrittura circolare, e fonde sapientemente realtà e invenzione consegnando al lettore nuove…

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Ciao domani

Hanno detto che c’era.

Ha rubato il sole e ha lasciato la pioggia
Davvero, per certo, da dove veniva nessuno lo sa.
Chi l’ha portato nemmeno. Si dice sia stato il pipistrello. È a lui che abbiamo dato lo sfratto, e senza più casa si è preso la vita, si è preso il tempo, si è preso la gioia, ha seminato il sospetto, e la paura ha allontanato i corpi.
I giorni si svuotano e le notti diventano giganti. La generazione dei liberi prigionieri, lavora sola, gioca sola, sogna sola.
Qualcuno ha scoperto il rumore del battito d’ali. Un altro ha trovato l’amico migliore. E i balconi adesso cantano mentre le sirene suonano.
Il nuovo silenzio amplifica lo spazio e i gatti in amore diventano i padroni indiscussi delle notti deserte.
Qualcuno ha negato, ha detto che non c’era, che era tutta un’invenzione. Ma anche se non c’era ha moltiplicato i vuoti aprendo la porta al pianto, al dolore e c’è chi non c’è stato più.
Sfidarlo non serve, ci vogliono armi, ci vuole un’acqua santa dentro le vene.
E intanto i santi in corsia non smontano più, assistono, consolano, muoiono. Ma il mondo è una trottola e gira, e paese che vai è lo stesso dolore che trovi.
Arriverà il punto, si girerà la pagina e una nuova penna scriverà. Una nuova mente detterà, una nuova vita inizierà. E nessuno più ruberà la casa ai pipistrelli.

M.B.

Cavalli al vento

Scriverò una preghiera
La scriverò su un ritaglio di stoffa bianca, rossa, gialla, verde e blu
E come fanno i tibetani la consegnerò al vento.
E come fanno i nativi americani le legherò sui rami.
Saranno preghiere di coscienza, di buonsenso, di tolleranza, di onestà, di fiducia, altruismo e generosità.
Affiderò le preghiere al vento
Il vento le porterà ovunque
E l’aria sarà satura di tutte le parole
E le parole riempiranno il fiato e non ci sarà più posto per niente altro.

M.B.

Andrà tutto bene

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Caro amore ti scrivo perché non ho altro.
Una guerra ci ha uniti e questa ci divide.

Non so che guerra sia questa. Nostro figlio combatte in primalinea senza tricea. Combatte con le armi della pace nel suo camice verde.
Non esco da più di un mese. Mi portano medicine e la spesa a domicilio. La TV parla di zona rossa, chissà cos’è. Sarà un nuovo confine, oltre non si può andare.
Ho rimesso in ordine gli armadi, pulito ogni angolo. Ho riordinato la dispensa e sbrinato il congelatore. Il terrazzo è un giardino, mai stato così colorato. Ti sarebbe piaciuto. Sarà presto il tempo di mangiare in terrazzo, ma tu non sarai più con me. Con chi giocherò a ramino?
C’è un silezio fuori che non capisco. Non conosco questa guerra, non ci sono aerei che rombano, non c’è il sibilo delle bombe e l’atesa del boom stretti nell’ultimo abbraccio con le mani sulle orecchie.
Anche se non c’è coprifuoco si sta tutti a casa. Non ci sono nemmeno le ronde e le squadre fasciste che sfondano porte e disfano famiglie, non c’è il pianto dei bambini affamati. Proprio di fame in questa guerra non si muore, non ho mai cucinato così tanto.
Uno solo è il rumore temuto, che porta tristezza: la sirena dell’ambulanza quando riempie l’aria primaverile correndo veloce lungo la via. La stessa ambulanza che un mese fa è venuta per te e ha fatto prigioniera me.
Apettando il tuo ritorno ho liberato il comò. Ti voglio tenere vicino al mio letto, non posso dormire lontano da te.

 

Monica Bauletti

Layla streghetta ribelle e altre favole

Layla streghetta ribelle

e altre favole

 

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Antologia di ventuno favole a tema storico
leggendario. A ogni regione d’Italia è legata una
favola tratta da una leggenda tipica e curiosa.
L’autrice si è ispirata ai racconti popolari che
narrano eventi misteriosi per trasformarli in favole
proponendo una personale rilettura dell’inspiegabile
e per presentare la soluzione morale di una
rinnovata scoperta di antichi valori. Lettura, quindi,
utile non solo per i più piccini, ma anche per quegli
adulti che abbiano voglia di ritrovare antiche storie
e il loro significato trasposto nel presente.
Questa raccolta è stata selezionata dalla cooperativa
Solaris per un percorso didattico di disegno presso il
centro diurno La Tenda di Montegrotto Terme (PD).

 

Copertina flessibile: 76 pagine – Editore: Montag (31 gennaio 2020) – Collana: Le Fenici
ISBN-10: 8868924021 – ISBN-13: 978-8868924027

 

Ogni regione una favola, qual è la tua?

Fuori tema – Layla streghetta ribelle

Veneto – La leggenda di Berta che fila

Toscana – Maddalena e il Diavolo- La leggenda del ponte del diavolo

Calabria – La chioccia e i sette pulcini d’oro

Lazio – La leggenda di Ninfa

Piemonte – La leggenda del Toro Rosso di Torino

Emilia Romagna – La Torre degli Asinelli

Puglia – Le streghe di Minerva

Trentino-Alto Adige – Ninfa del lago di Carezza

Valle d’Aosta – La leggenda del lago Blu

Sardegna – La mitica Janas Diana

Marche – Mitì, sirena presuntuosa

Basilicata – Alena degli angeli

Umbria – L’alito di morte del Drago a La Chiusa

Liguria – La triste storia di Fosca

Molise – La fanciulla nella melagrana

Lombardia – Il falò della Giöbia

Sicilia – La fanciulla Giuditta

Friuli-Venezia Giulia Fagagna: il fantasma di Ginevra

Abruzzo – Maja la madre della Majella

Campania – Partenope e l’uovo dell’amore

https://www.mondadoristore.it/Layla-streghetta-ribelle-Monica-Bauletti/eai978886892402/?utm_source=googleshopping&utm_medium=listing&utm_campaign=cpc&gclid=CjwKCAiA-P7xBRAvEiwAow-VafHxbRcL21_gzNtXW3RmwrCvOsBm4lOBDqUVyrdg42BlSwLY6qjMcxoCg5EQAvD_BwE&gclsrc=aw.dshttps://www.lafeltrinelli.it/libri/monica-bauletti/layla-streghetta-ribelle-e-altre/9788868924027?zanpid=27673183C250197299&zanpid=2661628969891591168&gclid=CjwKCAiA-P7xBRAvEiwAow-VaSSGqOIG7mOwUiRGrweE3I3IQqd9nyBsTYezGU_90lC7Atp4YowoVRoC9_QQAvD_BwE&awc=9507_1581266534_d5faf57ac781d0630141c9dfe6bcb89ahttps://www.ibs.it/layla-streghetta-ribelle-altre-favole-libro-monica-bauletti/e/9788868924027

Memoria

Sono nata negli anni del silenzio, quando delle bombe anche gli echi si erano zittiti. Ho saputo della guerra leggendo libri. Ho raccolto gli umori dai racconti sussurati perché la guerra è un mostro che non si deve svegliare. Perché quando i ricordi fanno male dimanticare è la cura che la paura fa novanta.

Ma i bambini son curiosi e chiedono, vogliono sapere. Vogliono sapere che bambini erano i grandi, la vita che hanno vissuto. Così la memoria scivola oltre il muro, passa il filo spinato e libera tutto il sangue, tutte le lacrime e lascia sbigottiti. È finito il tempo del silenzio e che le urla schiaccino il mostro. Non si nega la ragione, ricordare è imperativo perché i bambini vanno difesi e non devono mai avere paura.

 

Monica Bauletti

Madre mia

mamma

Era la prima domenica di giugno e festeggiavamo i cinque anni di Diego. Sei venuta alla festa nella casa nuova. Avevamo traslocato da appena tre mesi.

Si stava d’incanto sedute nel salottino estivo del mio terrazzo. Nonostante il caldo c’era un venticello fresco; a est, nel pomeriggio, si allunga l’ombra della casa e la calura si sente di meno.

È stato allora, sorseggiando un caffè, che mi hai detto che il tuo male era tornato.
È stata una doccia fredda. Non capivo, non volevo capire. Nella tua voce c’era un’insolita incertezza che tradiva l’angoscia aggrappata alla gola.

Le mamme nascondono le paure. I figli non le conoscono veramente, non capiscono i loro pensieri. Crescono accettando ogni stato d’animo e ogni umore come cosa naturale. Quali siano le loro emozioni nessuno lo sa.

Io non ti ho mai chiesto se eri felice, se lo eri stata.

Solo da adulta, quando già non mi parlavi più, mi sono chiesta molte cose, domande che non ti ho mai fatto.

Come quel giorno sulla terrazza, ero sotto shock con la tazzina di caffè che mi ustionava le mani, smarrita nell’interminabile eco delle tue parole. A fatica mi sono ripresa. Tu dicevi che erano tornati alcuni sintomi e avevi fatto la TAC. Era risultato un nuovo meningioma. Era molto piccolo. Non era nello stesso punto del primo, ma lì vicino e questa volta non era operabile, anche se avevi superato brillantemente il primo intervento. Da allora erano passati quindici anni. Quindici anni di vita, di sorprese, emozioni, di soddisfazioni, di gioie di amore. Quindici anni di vita insieme.

Dopo quella operazione pazzesca tu eri guarita. Ti avevano aperto la testa, tagliato e tolto l’ammasso informe di capillari che premeva su alcuni centri nervosi. Era andato tutto bene. Ora però dicevano che non era opportuno operare, non erano sicuri che l’intervento sarebbe andato bene. Insomma, l’aspettativa di vita si presentava migliore con il meningioma che cresceva e ti uccideva poco alla volta piuttosto che tentare di togliere il mostro.

I sintomi erano simili a quelli dell’Alzheimer, più o meno. La nicchia che il tumore si stava creando nella tua testa avrebbe tolto energia alle sinapsi e interrotto alcune connessioni, principalmente quelle motorie.

Era questa la sentenza di morte. La data non era presumibile.

Non restava che accettare una situazione irreversibile e attaccarci alla speranza; ma a quale speranza?: che i medici si fossero sbagliati?, che il meningioma non crescesse e si fermasse?, che se ne andasse via da solo?, che succedesse un miracolo? Si l’unica speranza era il miracolo, ma il miracolo non arrivò.

Abbiamo vissuto ignorando il dolore, accettando tutto.

Come se niente fosse e facendo fronte ai sintomi. Che crudele è la vita!

I primi sintomi si sono manifestati dopo circa cinque anni.

Al compleanno dei tuoi ottant’anni eri ancora “sana”. Sei arrivata alla festa in tuo onore che sembravi una diva. Bellissima nella tua elegante sobrietà. Dominavi la scena come sempre. Avevi questa naturale capacità di non sembrare mai fuori posto, sempre perfetta, benvestita, ben pettinata, profumata come profumano le mamme: un po’ di lacca e un po’ di borotalco: di pulito.

Eri tra noi e ancora non ti ho chiesto se eri stata felice.

Forse avevo paura della risposta, tu eri di una franchezza disarmante e a volte crudele. Dicevi di essere “Betta lingua schietta”, ed era vero. Sei nata a metà tra le due guerre, cresciuta con la morte negli occhi consapevole che ogni giorno poteva essere l’ultimo, non ritenevi ci fosse tempo per la menzogna, andava detto quello che andava detto quando andava detto senza alcun rinvio. Chissà se hai vissuto la vita che volevi o se ti sei adagiata prendendo quel che dava. Io ti ho sempre vista stanca e affaticata. Sorretta dall’amore che provavi per noi. Non pensavi mai a te stessa. Tremo al pensiero della tua infelicità. Che rimedio c’è a una vita spesa male?

Dopo la morte di papà e l’intervento alla testa, ti sei rimboccata le maniche e sei andata avanti. Avevi la tua autonomia; noi figli eravamo tutti grandi e avevi il tuo gran daffare a stare dietro ai nipoti. Ho un bellissimo ricordo del periodo in cui eravamo sole io e te. Stavamo bene. Mi piaceva sorprenderti, ti commuovevi ogni volta che ti facevo un regalo. Ti piaceva andare in gelateria, adoravi le coppe giganti con frutta, gelato e panna montata. Per non parlare della pizza! Eri sempre pronta a uscire, non avresti rinunciato per niente al mondo a una serata in pizzeria.

Solo tu sapevi leggermi dentro. Riuscivi perfino a intuire che cosa avrei voluto per pranzo, non trascuravi niente e io avevo il mio daffare a portarti ora di qua ora di là. Frequentavi molto le zie quando non eri impegnata ad accudire i nipoti. Ti sei sempre occupata di noi, dei nostri figli e anche dei figli dei nostri figli. Noi venivamo prima di tutto e di tutti. Che i nipoti ti chiamassero “nonna sprint” la diceva lunga su di te.

Sei stata importante per me. Un punto di riferimento, una figura solida e incorruttibile. Potente l’imprinting che hai avuto su tutti noi, e adesso ti cerco nei gesti, negli occhi dei miei figli, dentro di me.

Chissà se hai sofferto quando me ne sono andata. Non me l’hai mai detto. Non me l’avresti detto mai.

Il mostro dentro la testa ha lavorato lento e lentamente ti ha portata via. Pian piano hai perso l’uso delle gambe. Ti capitava di cadere e non riuscivi più ad alzarti. A nulla serviva fare ginnastica, non era un problema di muscoli, erano i circuiti nervosi che non lavoravano più. Nella tua testa c’erano dei blackout che interrompevano la connessione e alle gambe non arrivava più corrente.

Alla fine è arrivata la sedia a rotelle, la odiavi e ti vergognavi. Non ti rassegnavi, non volevi considerarti un’invalida, allo stesso modo con cui non accettavi di sentirti dire che eri vecchia, e avevi ragione, tu vecchia non lo sei stata mai.

Noi non ci siamo mai arresi, ogni volta che facevamo delle feste riuscivamo a portarti con noi. La domenica ti venivo a prendere e ti portavo da me, andavamo a passeggio, a mangiare il gelato o a bere il caffè con la panna. Era sempre una festa.

Poi non è stato più possibile spostarti. Eri diventata fragile e a stento muovevi le braccia e le mani. Era commovente vederti seduta sulla tua sdraio R300 quattro ruote monoposto con schienale reclinabile e poggiapiedi. Aveva tutti i confort, era superaccessoriata, ma potevamo spostarti solo dentro casa o nel tuo bel giardino.

Una delle cose che ti sono mancate con l’inizio della malattia di certo sono stati i libri. Ti piaceva tanto leggere romanzi, e di questo ti devo ringraziare perché mi hai trasmesso la passione per la lettura. Sarà per questo che poi sono diventata scrittrice. Non hai potuto leggere i miei romanzi, ma so che ti sarebbero piaciuti. Quando li ho pubblicati tu avevi già smesso di parlare. Casualmente ti usciva qualche espressione. Per un po’ sei riuscita a darci i tuoi baci, poi nemmeno più quelli. Ma il tuo sguardo è rimasto vivo ancora per molto. Quando venivamo a trovarti tu ascoltavi e ci seguivi con gli occhi. Sembravi paga di sentirci presenti e di vedere le tue figlie che ti facevano confusione intorno.

Quella volta che sono venuta a trovarti con il mio libro e ti ho detto che avevo vinto un piccolo premio per un racconto, tu non sei riuscita a dire niente, ascoltavi e a un certo punto ti sono usciti due lacrimoni dall’angolo degli occhi. Ti ho abbracciata stretta e mi è arrivata tutta la tua commozione. So che saresti stata orgogliosa di me. Lo eri già quando ho avuto la mia fase pittorica. Ti ho riempito la casa di quadri, ti piacevano e ne andavi fiera.

Mi dicevi sempre che ero matta. Lo dicevi con bontà, ma lo pensavi davvero. Le ultime parole che mi hai detto sono state proprio: “valà, valà matta!”, forse ti avevo detto qualche stupidaggine, per farti ridere; chissà se sapevi che sarebbero state le tue ultime parole.

Quando anche il tuo sguardo si è velato dormivi sempre. Noi continuavamo, inarrendevoli, a fare le stesse cose, a starti intorno per curarti, pettinarti, e farti bella. Non era possibile che tu non ci sentissi, non ci riconoscessi, non ci amassi più. Continuavo a parlarti anche se tenevi gli occhi chiusi. Ti raccontavo di tutte le cose che facevo e dei miei piccoli successi.

Quel Natale non abbiamo fatto il pranzo a casa tua. Eri troppo debole e non volevamo disturbare i tuoi ritmi. Il giorno dell’Epifania l’ho passato con te, è stato allora che ho capito che tu non c’eri più. Non c’era più niente di te in quel corpo completamente scarico.

Sei morta il 19 gennaio 2018, eravamo tutti attorno al tuo letto. Non dimenticherò mai quel giorno, quegli istanti. Trattengo ancora in un angolo del cuore il tuo ultimo respiro.

Monica Bauletti

 

 

La Certosa di Parma – Stendhal

la certosa di parmaLa Certosa di Parma – Stendhal

 

L’ho letto. Tutto.

Se mi è piaciuto?

Sì.

Mi ha esaltata?

No.

L’ho trovato lento in partenza. Fino alla metà (considerando che è circa 600 pagine sarebbe tanto) è stata una lettura imposta. Dopo è diventato più coinvolgente.

Da questo genere di libri mi aspetto molto. Dal punto di vista storico mi sono arrivate le atmosfere e gli umori di un periodo in cui regnò un certo disordine politico. È la Francia di Napoleone a dominare la scena.

In Italia si prepara la via verso la repubblica con il sorgere delle prime ribellioni, ma è ancora forte il legame alla monarchia.

Stendhal con questo libro ha messo a fuoco l’andazzo libertino della politica riflettendo nella piccola corte della provincia parmense gli intrighi e le congiure politiche tipicamente versailliane; in stile Re Sole, ante rivoluzione per intenderci. Perché abbia scelto Parma come location del suo romanzo non mi è chiaro, forse una rilettura potrebbe chiarirmi la scelta.

Un personaggio gli è ben riuscito: Fabrizio del Dongo. Un giovinetto scapestrato che non si risparmia nessun fallo.

Il giovanotto in quanto a prudenza non è certo maestro, ma ha la fortuna di cavarsela sempre in un modo o nell’altro. È come se il fato avesse visto in lui il soggetto ideale da dirigere. Un personaggio senza particolari ambizioni e desideroso di avventure. Appunto: un fatalista.  Quindi adatto a soddisfare il gusto di guidarlo spingendolo a mettersi nei guai al solo scopo di dare occasione di salvarlo ora all’innamoratissima zia, ora alla vivandiera, e via via alle donne che conquista con il suo candore fino ad arrivare al cuore della giovane Clelia della quale diventa egli stesso vittima innamorandosene perdutamente.

Sul filo delle avventure e disavventure del giovane del Dongo scivolano le vite degli altri personaggi tutti intenti a conquistarsi la fetta di felicità di una torta mal spartita. E se la passione donerà a tutti un po’ di felicità sarà tuttavia causa di dolore e sofferenza.

In conclusione posso dire che Stendhal ha saputo descrivere tutto il male della brama del potere e del cinico agire di chi, per di sconfiggere la noia, si improvvisa protagonista sul palco della vita.

Monica Bauletti

Pensieri in libertà

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