fenomeno di significazione

VUCUNPRA

 

Il rumore della ruspa che spianava le dune modellate dalla bora invernale arrivava a raffiche portato dalla brezza. Era l’eco mescolata allo sbattere del tendone sfilacciato da troppo tempo stanco di ombreggiare l’edicola abbandonata: “I giornali non li compra più nessuno e mi sono stancato di vendere secchielli, palette e cestine di bocce”. Aveva detto il giornalaio. “Io vendo notizie, informazioni, cultura, ma non c’è più nessuno che legge e mi tocca chiudere la giornata con le orecchie piene di pianti di bambini capricciosi che vogliono il giochino che mamma non vuole comprare –Ne hai già tanti, questo non ti serve. Scusi sa, ma ho la casa piena e non so più dove metterli – questo è il livello di conversazione che faccio tutto il giorno. Con tutto il rispetto per le mamme che sono la più grande invenzione di nostro signore e che mi fanno una gran pena quando le vedo passare cariche di borse che trascinano bambini sempre stanchi per andare a sfinirsi sulla spiaggia, sotto il sole poi! Ma io ne ho le tasche piene e quindi chiudo e me ne vado in pensione.”
Rita ozia seduta sul muretto. Alle sue spalle c’è un gran da fare per i lavori di pulizia della stazione balneare. Era quello il periodo, iniziavano sempre in prossimità della Pasqua.
Nel turbinio del vento i lunghi capelli le avvolgevano il viso.
Un paguro nudo le passa accanto, si ferma un momento, la osserva e poi via!
La versione sovralimentata Twin Turbo di una 650 cavalli romba in ripresa uscendo da una curva e per qualche secondo copre Bob Marley che canta No woman no cry. Dalla pagoda giamaicana solo musica reggae; il ragazzo del bar è Rasta.
Il paguro, ora vestito, torna indietro e le sfila accanto per pavoneggiarsi nel guscio di plastica con scritto su “Gel”.
Passa un vucumprà, è fuori stagione, porta tappeti e scope. Rita non si muove, la testa abbassata chiude i capelli a sipario, lei fissa lo sguardo a terra e vede solo il profilo dei piedi del tipo, sono scalzi e si perdono negli infradito neri come il catrame.
Se non guardo sto pezzente non esiste e va via”, pensa Rita a disagio.
Una folata di muffa e incenso le riempie il naso sconvolgendole lo stomaco.
Il tipo si è fermato un istante e la calcola, poi va via; avesse avuto il suo cesto con occhiali da sole, fermagli per capelli e collanine, avrebbe tentato la vendita, ma scope e tappeti alla ragazzina bianca sul muretto non interessavano di certo. Prosegue verso la pagoda portandosi dietro la scia di quel sapore acre di umidità misto a sudore.
Chissà che cosa mangiano per puzzare a quel modo. I mendicanti danno fastidio e creano disagio”. Pensa Rita. “Se ne restassero a casa loro, staremmo tutti meglio”. E già si sente in colpa. Suo padre non li sopporta, ha paura. Rita no, in fondo le sono indifferenti, anzi a volte sono anche simpatici.
Il somalo è tornato con due lattine di coca si siede sul muretto a mezzo metro da lei e allunga una mano agitando la coca sotto il suo naso.
Ecco!, come volevasi dimostrare. Mio padre ha torto e non lo sa”..
Rita sorride mentre il suo azzurro sprofonda nel nero abissale dello sguardo del somalo.

monica azzurra  M.B.