I giorni di Lia

I giorni di Lia

candeleromaeridano

Aveva dato appuntamento a Roberta davanti al municipio. La presentazione del libro si teneva nella stanza al primo piano. Roberta era in ritardo e Lia decise di entrare per tenere i posti.

L’autore era già lì. L’umiltà e l’educazione di quel autore era disarmante. Lia lo conosceva bene, letteralmente parlando,  aveva letto tutti i suoi libri e lo ammirava molto. Quella era la prima volta che aveva l’ occasione di sentirlo parlare e di vederlo di persona. Era un po’ emozionata e voleva la dedica sul suo ultimo libro.
Anche lui la conosceva, si erano scambiati commenti sul blog. Ma Lia non immaginava che lui sapesse che era lei. Lia si crede invisibile. Lei pensa che le persone la dimentichino subito.
Lui era sulla porta e quando l’aveva vista arrivare le era andato incontro per accoglierla, da bravo padrone di casa.
“Grazie per essere venuta”
“Non potevo mancare, mi piace molto come scrive e l’ultimo libro è davvero geniale”.
“Grazie”
Qualche secondo di imbarazzo rimbalzò qua e là.  Lia abbassò lo sguardo, si sistemò i capelli e oltrepassò la soglia.
“Vado a prendere posto, dovrebbe arrivare anche una mia amica.”
“Mmm…grazie, anche io devo parlare con l’organizzatore dell’evento…grazie”
Lia era un po’ sorpresa. L’aveva riconosciuta? Se la ricordava? No, faceva così con tutti gli ospiti.
Roberta arrivò due minuti prima dell’inizio. La presentazione fu un successo, Lia era molto emozionata.
Al firma copie passo il libro all’autore che fece la dedica senza chiederle il nome.
-Grazie Lia, 20 aprile 2019 Pino-
L’aveva riconosciuta.
Mentre usciva aveva sentito l’amico che lo spronava: “ma la lasci andare via così?, ma fermala, chiedile se puoi offrirle un caffè, dai!, non stare lì impalato.”
“No, non posso complicarle la vita, sembra felice”. Lia si chiese a chi si riferissero i due e, incuriosita da quel gossip origliato per caso, lanciò un ultimo sguardo dalla soglia per capire di chi parlassero. La sala era piena di gente, un gruppetto di donne elegantissime si contendevano l’attenzione dell’autore ostentando confidenza nei suoi confronti ogniuna cercando di prevalere sull’altra per affermare la propria superiorità. Lui fingeva di ascoltarle, ma la sua attenzione andava altrove, fuori dalla stanza, giù dalle scale. Ora era già in strada che se ne andava a braccetto con l’amica sulla via del Corso in cerca di un bar per bere quel caffè che avrebbe voluto essere lui a pagare.

./. continua

M.B.

Tulipani GIALLI



Era una bella mattina di primavera.
Mi hanno svegliata le campane della messa delle nove e trenta. Avevo programmato di sistemare i fiori comprati al mercato del sabato.
Avevo trovato i giacinti. Adoro il profumo dei giacinti, mi piacciono quelli rosa e quelli viola. Pensavo di sistemarli nel vaso che tengo sul tavolino davanti alla portafinestra della camera da letto. Invece i tulipani li volevo mettere sul vaso d’angolo. Mi piaceva immaginare l’angolino tutto giallo con una corona di pratoline tutt’intorno.
Ero stata molto indecisa sui fiori da mettere nella lunga fioriera che sporge oltre il parapetto. Servivano piante che crescono a cascata e fioriscono tutta l’estate, alla fine ho preso i gerani parigini, ricordo che piacevano molto a mia mamma. Credo di averli presi in suo ricordo, quasi per volerla accontentare.
Lei ha sempre saputo. C’è una domanda che mi fece una volta e che mi riecheggia in mente ogni tanto, forse perché non ho ancora risposto. Mi chiese: a te chi ci pensa?, chi si prende cura di te?
Tu dormivi, non volevo svegliarti, ti eri agitato tutta la notte.
Sono scivolata fuori dal letto lentamente e come un rivolo d’acqua invisibile e silenzioso sono uscita dalla stanza. Ero diventata brava a fare l’ombra. Sapevo anticipare i tuoi umori e mi trasformavo in fantasma per non irritarti.
Certe giornate non finivano mai. A volte preferivo che ti sfogassi subito anche se avevo paura. Non riuscivo a prevedere quanta rabbia potevi scaricarmi addosso. Un paio di volte ho tenuto di morire. Ho sperato di morire.
Ho fatto la doccia e ho lavato i capelli. Che belli sono i miei capelli. Lunghissimi, biondi; mossi, ma non troppo. L’ideale per coprire i lividi, l’ideale per immobilizzarmi e tenermi ferma in ginocchio.
Ho fatto colazione con il caffè nero e qualche biscotto. Non c’è niente di più gradevole del profumo del caffé al primo mattino.
Ho avvolto i capelli in un asciugamano e indossato la tuta, ho messo i guanti di lattice e sono uscita a invasare le piante. Tempo qualche giorno avrei visto i primi colori, il profumo mi pareva di sentirlo già. Ammiravo il mio lavoro e mi immaginavo seduta sulla poltroncina di midollino a fumare una sigaretta o a sorseggiare un bicchiere di rosso, adoro il vino rosso. Ero molto soddisfatta.
Non ti ho sentito arrivare. Non ho capito neanche quando mi hai presa in braccio. Ti ho sorriso, ho accennato un bacio e sono volata giù dal quinto piano.
Perché? Che cosa ho fatto?
Ero così contenta.
Non vedrò sbocciare i tulipani.

M.B.

Le Ripetizioni- Giulio Mozzi – prime impressioni

letterandoilblog

READING IN PROGRESS

…dopo soli 3 capitoli …

Oggi niente TV.
Mi sono rifugiata sul vecchio divano, ho un nuovo libro da leggere. È l’ultimo libro di Mozzi, il suo primo romanzo, Le Ripetizioni. Lo leggo e ritrovo l’autore nella sua totalità, ritrovo il ritmo, lo stile, quel modo di penetrare nelle cose, di zummare i particolari nel tentativo di dare un nome a ogni gesto per poi demolirne il senso. Ma intanto che ti dice che nulla resta ha già impresso l’immagine nella mia mente e io so che quell’immagine resterà, così come sono rimaste tutte le immagini dei racconti già letti, alcune le ritrovo anche qui. Ed è confortante ritrovare pezzi di vite – di personaggi forse inventari, forse vissuti- già conosciute in letture precedenti. Da grande estimatore di Manzoni, Mozzi fa della sua letteratura una scrittura circolare, e fonde sapientemente realtà e invenzione consegnando al lettore nuove…

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Ciao domani

Hanno detto che c’era.

Ha rubato il sole e ha lasciato la pioggia
Davvero, per certo, da dove veniva nessuno lo sa.
Chi l’ha portato nemmeno. Si dice sia stato il pipistrello. È a lui che abbiamo dato lo sfratto, e senza più casa si è preso la vita, si è preso il tempo, si è preso la gioia, ha seminato il sospetto, e la paura ha allontanato i corpi.
I giorni si svuotano e le notti diventano giganti. La generazione dei liberi prigionieri, lavora sola, gioca sola, sogna sola.
Qualcuno ha scoperto il rumore del battito d’ali. Un altro ha trovato l’amico migliore. E i balconi adesso cantano mentre le sirene suonano.
Il nuovo silenzio amplifica lo spazio e i gatti in amore diventano i padroni indiscussi delle notti deserte.
Qualcuno ha negato, ha detto che non c’era, che era tutta un’invenzione. Ma anche se non c’era ha moltiplicato i vuoti aprendo la porta al pianto, al dolore e c’è chi non c’è stato più.
Sfidarlo non serve, ci vogliono armi, ci vuole un’acqua santa dentro le vene.
E intanto i santi in corsia non smontano più, assistono, consolano, muoiono. Ma il mondo è una trottola e gira, e paese che vai è lo stesso dolore che trovi.
Arriverà il punto, si girerà la pagina e una nuova penna scriverà. Una nuova mente detterà, una nuova vita inizierà. E nessuno più ruberà la casa ai pipistrelli.

M.B.